lunedì 22 dicembre 2008

A volte ritornano

Dopo più di un mese e mezzo dall’ultimo mio vero post, mi rifaccio vivo per comunicare che questo blog chiude. Quando la scorsa estate avevo iniziato l’avventura, pensavo di parlare di tante cose, ed invece ho finito per avere pochi argomenti ed ancor meno voglia di scriverne.
Il blog “generalista” non è nelle mie corde, pertanto ritornerò alle origini, con un nuovo blog sui fumetti, per rinverdire i fasti (?) del vecchio “Faro di Kupe”, seppure con presupposti leggermente diversi. Tra l’altro, questo cambio di rotta spero mi darà la possibilità di sviluppare meglio un nuovo, ambizioso progetto pensato con l’amico Heike (…stay tuned!).
Spero che chi mi ha seguito fin qui abbia voglia di continuare a farlo, magari aggiornando anche i propri link…
Ci si vede di , venite tutti!

Nell’immagine, Bartolomeo Pestalozzi riprende il suo posto di guardiano del faro (disegno di Wally Wood tratto da “The Haunt of Fear #1”, 001 Edizioni)

mercoledì 19 novembre 2008

venerdì 14 novembre 2008

Accademia della Crusca


La fine è vicina, parola del Ragazzo Rotula.

martedì 4 novembre 2008

Sei stato taggato

Torno dall’ultima Lucca Comics carico di rinnovati entusiasmi. Frequento la fiera fin dal 1990 e non ricordo un’edizione più affollata di questa, che trovo molto rappresentativa del momento che stiamo vivendo. Migliaia di stimoli, di richieste di contatto, di tribù in cerca di visibilità, di informazioni e di eventi in sovrapposizione continua, senza nessuna possibilità di trovare i bandoli delle varie matasse. Come un affollato account Facebook con centinaia di “amici” dalle provenienze più diverse, ciascuno con le proprie storie. Eppure in mezzo a questo intruglio di varia umanità è ancora possibile ritrovare quello a cui sei davvero legato, gli affetti più cari e le cose più belle. Certo, bisogna passare attraverso cosplayer, GDR, anime senza sottotitoli ed action figure (non me ne vogliano i vari appassionati, li guardo con affetto sincero, anche se abitano su altri mondi), ma tra una ragazzina mezza nuda con gli stivaloni rosa a mezza coscia e il busto 1:1 in resina dell’Uomo Improbabile, si riescono a scovare ancora quelli che continuano imperterriti e quasi eroici a ricercare il segno ed un senso.
Quest’anno, grazie anche al debutto del calendario che ho contribuito a curare, ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere molti disegnatori, che hanno tutti confermato, una volta di più, la loro autentica umanità. Mi ha sorpreso la vitalità dei Maestri e sono stato rincuorato dall’umiltà e dall’entusiasmo dei giovani, tanto da convincermi che il fumetto in Italia può ancora dire molte cose belle, nonostante le strategie sbagliate di molti editori, grandi e piccoli. C’è chi si lamenta perché vorrebbe che dalle fiere fosse bandito tutto ciò che non è strettamente correlato al fumetto, ma io vi assicuro che anche in queste condizioni è estremamente piacevole imbattersi nella verve di Milazzo, nella dolcezza di Giardino o nella sagacia di Scòzzari… Anzi, forse è ancora più bello e prezioso, ed è un viaggio che vale sempre la pena fare.

venerdì 31 ottobre 2008

Odi et amo

Io odio El Diego perché è stato forse il più grande calciatore di tutti i tempi ma ha buttato la sua carriera nel cesso, ubriaco di eccessi, droghe, doping, alcol e sregolatezze assortite. Lo odio perché nel 1990, quando disputò forse il suo peggior mondiale, riuscì lo stesso ad eliminare l’ultima Nazionale azzurra con la faccia pulita e che giocava bene. Lo odio soprattutto perché ai mondiali del 1994, risorto dopo anni di crisi con un magnifico gol agli Stati Uniti, fu trovato positivo all’efedrina proprio dopo quel match e quindi cancellato per sempre dalle maggiori competizioni calcistiche.
Ma io lo amo anche El Diego, lo amo profondamente. Lo amo perché nessuno ha mai segnato i gol che ha segnato lui, dalle posizioni più improbabili e con le traiettorie più imprevedibili, spesso alla conclusione di geniali e irridenti ricami di dribbling. Lo amo perché non aveva un fisico da atleta, ma era soltanto un tracagnotto sormontato da un cesto di ricci, legittimo erede di una razza di immigrati sfigati: però quando scendeva in campo cominciava a danzare con eleganza, alternando scatti felini e folgoranti intuizioni da fermo, in un misto di indolenza, tango e poesia. Lo amo perché El Diego ha vinto gli ultimi mondiali belli della storia del calcio, quelli del 1986 in Messico, quando ancora gli sponsor erano pochi, di soldi ne giravano meno, le televisioni si occupavano soprattutto di altro e non esistevano tatuaggi, veline, squadre corte, rose allargate e preparatori atletici. «Pumpido, Cuciuffo, Olarticoechea…» Ricordo bene la filastrocca di quella formazione, composta perlopiù da oscuri gregari di centrocampo e da pericolosi ceffi da galera in difesa, ma con davanti un trio di veri fuoriclasse. Burruchaga a destra, un’ala di vecchio stampo instancabile e precisa, e Valdano a sinistra, il puntero di peso implacabile sotto porta: e poi nel mezzo lui, il Genio, un po’ regista e un po’ centravanti, immarcabile, libero di muoversi e di inventare, con 5 assist e 5 gol in 7 partite. Tutte prodezze memorabili, per me in particolare la doppietta segnata al Belgio in semifinale, davvero la quintessenza del Football. È notizia di questi giorni, proprio mentre il Napoli è di nuovo in testa alla classifica dopo mille anni, che El Diego guiderà la Selección argentina, detentrice del titolo olimpico e al settimo posto nel ranking mondiale FIFA. Forse è solo una manovra mediatica, che di sicuro farà gola agli sponsor, ma a me piace pensare che El Diego qualche buon consiglio riuscirà a darlo, magari proprio a Leo Messi, l’ultimo dei suoi numerosi eredi, finora tutti illegittimi.


Nelle immagini, un ritratto di Diego scippato all'illustratore Jerzovskaja e l'icona dello scippo più famoso della storia del calcio, la Mano de Dios, così rappresentata su un muro di Helsinki

martedì 28 ottobre 2008

Thundering Smiles! :-D

Sembra incredibile, ma al di là dei soliti polpettoni buoni per tutti i palati, Hollywood è ancora in grado di sorprenderci. Sette anni dopo il cult “Zoolander”, Ben Stiller torna dietro la macchina da presa con “Tropic Thunder” per raccontarci di un gruppo di attori primedonne (fra cui lui stesso, Jack Black e un Robert Downey jr. magnifico, da Oscar) alle prese con l’ennesimo film sul Vietnam: problemi fra il produttore e il regista convincono quest’ultimo a ricercare un maggiore realismo nelle riprese, tanto da spingere i nostri eroi fra le braccia di veri narcotrafficanti armati fino ai denti...
Le gag e le battute sono spesso irresistibili, gli attori in stato di grazia e feroce è il sarcasmo nei confronti di un certo modo molto americano di fare cinema; si ride di gusto, e viene da pensare quanto ancora siano grandi ed in parte inesplorate le potenzialità del genere comico.
Stiller si conferma un attore straordinario ed un regista dalle capacità sorprendenti (se la caverebbe alla grande anche con un “action movie”), oltre che un raro esempio di autore completo, considerando che ha contribuito alla sceneggiatura ed alla produzione. Impedibili i finti trailer prima dell’inizio del film ed il cameo di un eccezionale Tom Cruise, di cui vi do un assaggio: fa bene allo spirito quando un’icona ride così di se stessa, e mi viene da piangere a pensare a quanto invece gli attorucoli nostrani si prendano sul serio… Ve lo immaginate, che so, Raul Bova, a ballare così? Naaaaaa… :-(

martedì 21 ottobre 2008