Niente da dire, la serie mi ha preso e mi è piaciuta parecchio, e non avrebbe potuto essere altrimenti, considerando la mia insana passione per i fumetti e per i supereroi in particolare. L’idea di base, mutuata spudoratamente dagli “X-Men”, non è a dire il vero per niente originale, ma è innegabile che le mutazioni genetiche più o meno spontanee rimangono l’espediente meno ridicolo per giustificare la manifestazione di super-poteri. Per il resto, a parte le inevitabili incongruenze tipiche dei prodotti seriali, tutto funziona a meraviglia, e le situazioni classiche delle avventure supereroiche sono sviluppate in modo molto attuale e coinvolgente, a dimostrazione che certi elementi fumettistici sono ormai assurti a veri e propri “tòpoi” mitici moderni.
Vengono riproposte fedelmente anche quelle atmosfere pesanti che da un po’ di tempo sono caratteristiche delle storie di supereroi: senso di oppressione, buio, sangue, morte, distruzione. Insomma, anche gli “Heroes” si prendono parecchio sul serio, e non basta la figura buffonesca di Hiro Nakamura per alleggerire il clima. Non è un caso, infatti, che nella serie siano assenti maschere e costumi colorati, sarebbero stati troppo poco credibili in quel contesto, ed avrebbero finito per stemperare del tutto la tensione da thriller fantastico così mirabilmente costruita.
E tuttavia, io ai costumi rimango affezionato, perché per me continuano a rimanere un elemento imprescindibile delle storie di supereroi, e non solo per la loro valenza iconica e distintiva, quanto piuttosto per la loro capacità di riportare tutto su un piano di dichiarata “non verosimiglianza”, che rappresenta il vero trionfo della fantasia.
Da sottolineare, per concludere, il curioso apporto di alcuni registi di genere ora un po’ dimenticati, come John Badham (“Tuono blu”, “Wargames”, “Corto circuito”) e Jeannot Szwarc (“Lo squalo 2”, “Supergirl”), mentre il creatore di “Heroes”, Tim Kring, ci aveva già provato 20 anni prima con la serie di culto “Misfits of Science”, da noi andata in onda sulle reti private.
Nell’immagine, una giovanissima Courtney Cox ritratta insieme ai suoi primi coinquilini, molto più interessanti degli “Amici” di poi che tutti conosciamo
Da sottolineare, per concludere, il curioso apporto di alcuni registi di genere ora un po’ dimenticati, come John Badham (“Tuono blu”, “Wargames”, “Corto circuito”) e Jeannot Szwarc (“Lo squalo 2”, “Supergirl”), mentre il creatore di “Heroes”, Tim Kring, ci aveva già provato 20 anni prima con la serie di culto “Misfits of Science”, da noi andata in onda sulle reti private.
Nell’immagine, una giovanissima Courtney Cox ritratta insieme ai suoi primi coinquilini, molto più interessanti degli “Amici” di poi che tutti conosciamo
4 commenti:
Heroes non mi ha fatto impazzire, anche se sono stato risucchiato come al solito dal meccanismo della serialità e ho visto pure la seconda serie. mi è parsa un mucchio di roba rubacchiata e riciclata senza alcun particolare apporto originale e certi buchi clamorosi di sceneggiatura non hanno aiutato
Caro Madmac,
si potrebbe dire che ormai è stato già scritto tutto, ma io ho apprezzato proprio questo rimescolio di cliché supereroistici. Niente di veramente eccezionale, ma quando si parla di superpoteri, supereroi e supercattivi io perdo qualunque senso critico e ritorno l'ingenuo settenne che rimase folgorato dai F4 su Supergulp... :-)
A me invece e' piaciuto subito e molto!!!speciakmente la seconda serie che ho trovato geniale e ricca di bellissime scene...io non ero abituato a serie televisive ma quando mio figlio mi propose heroes per iniziare da li ho cominciato anche a ricercare telefilm vecchi e ad apprezzarne il fascino rilassante........
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